Chi ha visto Piero Camilli e la Viterbese alzare al cielo la Coppa Italia nella finale giocata al Rocchi con il Monza, stenta a credere che le cose abbiano preso una piega così brutta. Appena due mesi fa, il club gialloblù toccava il punto più alto della sua lunga e accidentata storia nella terza serie nazionale.
I tifosi e la città di Viterbo pensavano a un punto di partenza. Una trampolino dal quale spiccare il volo, per affrontare il prossimo campionato di serie C con spirito gagliardo e battagliero. E però il vento ha girato, all’improvviso.
La realtà dei fatti non lascia più spazio a voli pindarici. Il tempo scorre inesorabile. Tutto sembra destinato a venire giù come un castello di carte. Si prospetta una stagione come minimo complicata, salvo prova contraria. Eppure quasi nessuno è riuscito a dare un senso logico alla cronologia degli (stucchevoli?) eventi che si sono susseguiti.
La sensazione peggiore è assistere alla mancata capitalizzazione di un sentimento. La gioia immensa di quella serata è durata lo spazio di un mattino. I cuori gialloblù, vecchi e nuovi, si sono trovati da subito a fare i conti con un garbuglio inestricabile. Uno gnommero, come direbbe Gadda. Di quella pazza gioia si è, inesorabilmente, persa ogni traccia.
Ma quella Coppa è stata alzata al cielo per davvero? Oppure si è trattato di un’illusione ottica? Il sogno sognato degli illusi sognatori che sono e resteranno per sempre i tifosi? Eterni Peter Pan, alla ricerca dell’isola che non c’è.