La Viterbese di Piero Camilli ha viaggiato con il vento in poppa per sei anni. Merito esclusivo di un patron che ne ha raccolto i cocci e ha riportato la squadra in terza serie nazionale (passando attraverso due campionati vinti, uno in Eccellenza e uno in Serie D). Fino alla conquista della Coppa Italia Serie C, nella storica finale con il Monza (nella foto), che rappresenta l’apice di un progetto che si prospettava duraturo e vincente.
Qualcosa però si è rotto. Anche e soprattutto per ragioni extra calcistiche, a nostro parere. Si è scatenata, di conseguenza, l’ira funesta della proprietà. Dopo essere stata tenuta in bilico per settimane, la Viterbese solo in extremis è stata iscritta al prossimo campionato di serie C. Ciò non ha impedito a Camilli di rilasciare dichiarazioni di fuoco contro la città e di mettere nel contempo in vendita la sua creatura.
Le trattative sono in corso, nel momento in cui scriviamo. L’esito, dunque, è incerto. Non vogliamo entrare nella questione. Ha una valenza puramente imprenditoriale e, pertanto, non è di nostra competenza. Né vogliamo inseguire i tanti nomi, più o meno validi, che si stanno rincorrendo fino allo sfinimento. Ci fidiamo in toto delle parole di Piero Camilli. Ha promesso di lasciare la Viterbese in buone mani e sarà certamente così. Non rimane che lasciarlo lavorare e aspettare il responso definitivo.
Resta però una considerazione da fare. Un diverso radicamento tra il club gialloblù e il territorio, in questo periodo lungo sei anni, si sarebbe potuto (dovuto?) costruire. Le ragioni per le quali ciò non è avvenuto, sono molteplici. Non è questo il momento per analizzarle ma, come spesso accade, i torti vanno equamente suddivisi tra le parti chiamate in causa.
“La grande séduction” è un delizioso film canadese del 2003. Racconta i mille espedienti che gli abitanti di un piccolo villaggio, Sainte-Marie-la-Mauderne sulla costa atlantica del Quèbec, sono costretti a mettere in atto per accattivarsi il medico destinato a fermarsi solo un mese e convincerlo a restare. Solo così sarà possibile l’apertura della fabbrica, l’ultima occasione per salvarsi da una crisi esiziale.
Non sappiamo, nel nostro caso, a chi sarebbe toccato sedurre chi. Né chi avrebbe dovuto fare il primo passo. È certo però che qualcosa dovrà comunque cambiare dalle parti di Viterbo. I treni che passano sono fatti per salirci sopra e per viaggiare alla ricerca di orizzonti nuovi. Non certo per lasciarseli scappare.
La Viterbese porta in giro per l’Italia i colori della città. È un patrimonio da proteggere. Non si dovrebbe (non si può) continuare a passare in modo ondivago tra slanci di amore e cadute nel più amaro disamore.
Bisognerebbe cercare di far crescere le maglie gialloblù insieme. Tutti insieme, con azioni sostenibili e condivise. Per evitare che possano finire nel dimenticatoio del calcio che conta. Come nella fiction, occorre salvare dalla rovina il villaggio di Sainte-Marie-la-Mauderne.